Storia di un Grande Eroe
Agli albori del 20°secolo il Mondo si preparava ad attraversare uno dei periodi più bui che l’umanità potesse generare: la prima guerra mondiale. In questo contesto storico, il 18 febbraio 1897, nasce Antonino De Cillia, figlio del Cavalier Antonio De Cillia (Scior Tony dal Pin) e Luigia Cortolezzis. Genitori bottegai che nel 1890 avevano aperto la prima distilleria di Treppo Carnico. Una famiglia molto rispettata la loro, che si adoperava costantemente per il bene di tutta la comunità. Il piccolo Tonin (questo il nomignolo che si guadagnò in paese) ed i suoi 4 fratelli, crebbero in un ambiente di sani princìpi. Sin da tenera età ebbe modo di farsi notare per la sua spiccata propensione al prossimo.
Ma più Tonin cresceva, più l’eco di quella società sul baratro della guerra lo scuoteva, tormentando i suoi più alti ideali. Gli anni intanto passavano, Tonin maturava ed il suo maestro di scuola Giulio Martinis, già intravvedeva in quello studente le virtù degli eroi, le virtù dei Grandi. Una profezia, quella del maestro, che in breve tempo diverrà realtà. In Tonin scoppiò l’adolescenza e l’ardore per la guerra come strumento necessario all’unità e l’indipendenza della sua cara Patria.
Arruolato!
Lo stesso giorno in cui l’Italia entrò ufficialmente nel conflitto, il giovane Antonino appena 18enne e studente alle normali di Sacile, si arruolò nell’esercito come volontario. I suoi fratelli più grandi già combattevano al fronte. Ai suoi genitori, ancora ignari della scelta che aveva appena compiuto, scrisse questa lettera:
Carissimi genitori, avrete sentito che la guerra è dichiarata e sulle nostre frontiere già si combatte. Qui hanno chiuso le scuole e domani e posdomani i professori compieranno le interrogazioni in qualche stanza privata. Come sapete il Ministro della Pubblica Istruzione ha diramato una circolare che basta il sei per essere promossi senza esami, ebbene domani andrò a farmi interrogare in matematica che non sono mai stato interrogato e dopo ho la promozione certa. E’giunta finalmente l’ora del riscatto, l’ora tanto sacra per noi italiani, perchè così potremo vendicarci delle ingiurie obbrobriose, vendicare con il nostro sangue quello nobile dei nostri padri e gli ideali nostri compieri per un diritto sacrosanto incontestabile.
Genitori cari, papà caro, mamma dolce, mai sentimento più nobile m’ha spinto, m’ha ispirato al vero al grande amor patrio come ora; io sono disposto di fare qualunque sacrificio pur di concorrere alla grandezza della nostra bella Italia. Perdonate, non mi dite ingrato, senza riconoscenza, io vi amo tanto ed ho presenti tutti i sacrifici che avete fatto per me lo so, sono stato cattivo con voi, molto cattivo, e non ovi detti che minime per non dire nessuna gioia. Gli uomini (certi) hanno degli ideali che amano più di sè stessi, poichè non è cosa poco seria giocare la vita: ebbene io sono uno di quelli. Mi sono arruolato volontario al 1° reggimento Fanteria. Domani passerò la visita medica, poi mi vestiranno, mi terranno qui a Sacile circa 10 giorni per una istruzione accelerata. Pensate che ben diecimila studenti hanno fatto altrettanto e tante madri saranno in angoscia, sappiate sopportare, è la Patria che lo richiede. Ancora una volta forse vi secco e vi disturbo: mandatemi qualche cosa di denaro, perchè quando partirò non avrò più una sede stabile. Perdonate e pensate che il vostro Tonin è molto probabile che torni e allora vi darà tanti e tanti baci e voi sarete onorati di avere un figlio che ha offerto tutto se stesso per la Patria.
Mamma io attendo la vostra benedizione, non mi rimproverate sarebbe troppo angoscioso per me. Avrei voluto venire a casa per salutarvi ma sarebbe stato troppo duro il distacco e troppo avrei sofferto mentre ho bisogno di tanto coraggio, di tanta calma. Ricordatevi di me e pensate che io vi ho sempre voluto bene e che sempre vi ho adorati; forse a voi non pare perchè ho un carattere che cerca di nascondere gli affetti e mi faccio vedere burbero. Sempre sarà viva in me la vostra immagine che mi condurrà alla Vittoria, perchè ho sete di vendetta, di gloria. Scusate tanto se vi ho scritto così male, ho molta fretta. Abbiatevi tutto il mio affetto sempre ricordandovi.
Chiese sin da subito d’essere mandato in trincea, fu accontentato e nel luglio del 1915 venne spedito sul Podgora durante la seconda battaglia dell’Isonzo. Combatté assieme ai suoi compagni per mantenere salde le prime linee attorno al monte Calvario, senza mai cedere il passo agli Austriaci. Questi sfiancati ma non di certo arresi, vinsero comunque la battaglia. Lo scenario bellico, con l’introduzione delle armi automatiche, trasformò sia il campo di battaglia che le tattiche con cui prevalere sul nemico. La guerra lampo profetizzata dagli “autorevoli” strateghi dell’epoca, si rivelerà un errata previsione, perché il conflitto sfocerà in un interminabile ed estenuante guerra di posizione.
Nonostante i bollettini di guerra presentassero giornalmente un impietoso debito di giovane sangue versato, Antonino rifiutava costantemente i ruoli nelle retrovie ed posti di seconda linea e chiedeva insistentemente la trincea. L’ardore con cui combatteva gli rese onore su ogni campo di battaglia.
Avanti Savoia!
Nonostante gli fosse stato assegnato il ruolo di osservatore in seconda linea, egli prese parte all’assalto vittorioso del monte Sabotino, distinguendosi anche in questa occasione per il suo coraggio ed il suo valore. Rifiutò più volte il grado di Ufficiale perché aveva giurato di voler rimanere soldato semplice, per sostenere e combattere fianco a fianco ai suoi commilitoni. Suo malgrado e contro la sua volontà, il 1° gennaio 1917, venne promosso Sottotenente. Questo gli avrebbe permesso di operare nelle retrovie, ma per l’ennesima volta chiese ed ottenne un altro trasferimento al fronte. In una Gorizia appena conquistata, la brigata gli affida un intero plotone di Arditi ed assieme a loro si lancia ancora una volta contro le trincee nemiche per difendere la Patria a lui tanto cara.
Non pago di tutte le energie profuse e di tutte le battaglie combattute assieme ai suoi compagni, Antonino chiede ancora la prima linea, per scontrarsi faccia a faccia con il nemico. Non ha fatto i conti con Generale Rocca, che sceglie lui per la sua ordinanza personale. Ovviamente rifiuta anche questo incarico, come rifiuterà il ruolo di Ufficiale di deposito a Verona, per ritornare nuovamente in trincea. Come può un uomo di questa natura, essere confinato in mansioni di secondaria importanza, quando è uscito indenne e glorioso da oltre cento assalti sul campo di battaglia? Come si può chiedere ad un uomo simile di sottrarsi alla battaglia che infiamma tutto il nord Italia? Non puoi chiederlo a uomini di questa razza, perché sarebbe come imbrigliare un cavallo selvaggio…sarebbe come impedire ad un passero di volare. Si, Antonino era destinato al sacrificio, alla vittoria ed alla morte.
Il 2 aprile 1917 scrive questo messaggio dal fronte:
«Con salda fede nella nostra vittoria e con serenità affrontiamo l’ultima e più terribile fase della guerra. Vi bacio tutti con infinito affetto»
Quella serenità citata, all’apparenza dissonante e irrispettosa del contesto in cui era immerso, celava invece il compiacimento per il servizio volto ad appagare quegli alti valori a cui Tonin era legato sin dall’infanzia. Combattere e vincere questa guerra così devastante, così non fù. Antonino cadde alla testa del suo plotone sotto i colpi del nemico il 23 maggio 1917 nella vallata del Vipacco, durante la decima Battaglia dell’Isonzo.
Qui di seguito riportiamo la descrizione dei fatti, dalle parole del suo comandante di allora (il capitano di complemento Oddone):
L’azione dimostrativa doveva farsi per ondate: la prima ondata doveva uscire alle ore 4e5 pomeridiane costituita dalla 9° Compagnia, con il primo plotone (quello di Tonin) all’estrema sinistra (fino al Vipacco); doveva uscire dal valloncello antistante alla trincea di prima linea, ove orasi apportata verso mezzogiorno, e puntare sul primo cucuzzolo (quello ad ovest) dall’altura di quota 126, obbligando a destra.
Poco prima dell’inizio il Comandante del Battaglione si recò da Tonin e gli raccomandò di dirigere bene il movimento e di tenere d’occhio il plotone alla sua destra, comandato da un semplice sergente maggiore. Alle esortazioni del comandante Tonin rispose: «Non dubiti signor comandante, faremo il nostro dovere». Non avendo più sigarette, ne chiese una al tenente Colla il quale, anch’esso a corto, ne diede mezza a Tonin e mezza al caporale Russo che subito dopo venne colpito da shock nervoso.
Quando fu dato l’ordine di uscire, Tonin con la sua mezza sigaretta in bocca, armato di fucile, bello, sereno, uscì con i suoi soldati gridando: «fuori, fuori, avanti!» Era magnifico il suo slancio! Egli percorse velocemente il tratto pianeggiante, indi cominciò la salita ma giunto quasi al secondo gradino coronato da un filare di viti, cadde colpito mortalmente da una pallottola di fucile. L’ondata tornò indietro e solo allora ci si accorse che egli mancava: alcuni soldati iniziarono timidamente a dire di averlo visto cadere ferito. Alle 8 pomeridiane uscì la seconda ondata a scatto, costituita dalla 11°compagnia. Il tenete Pozzi vide Tonin disteso accanto ad un cespuglio con la testa appoggiata su un braccio, come se stesse dormendo.
Dapprima non lo riconobbe, scambiandolo per un altro, poi sì. Ma data la veemenza della fucileria nemica non poté prenderlo. Tornato indietro riferì il doloroso fatto al Comandante di Battaglione il quale disse: «Bisogna recuperare la salma del caro De Cillia» ed ordinò che si organizzasse una squadra a tale scopo. Il tenete Pozzi, anima nobile e generosa si offrì magnanimamente e con lui il caporal maggiore Magnanini.
Questa squadra di Ardirti, uscì verso le ore 10 pomeridiane, appena calate le tenebre, sfidando il pericolo derivante dall’abbagliante luminosità dei razzi e dei riflettori del nemico, il quale, turbato dalle due ondate antecedenti, era agitato e nervoso perché ne attendeva delle altre. Riuscì a raggiungere il sito ove Tonin giaceva. Il Pozzi lo prese per le braccia e lo trasportò nella trincea di partenza. Poiché il camminamento che dalla trincea porta al posto di medicazione a Vertoce è brutto, sassoso, dovette attendere l’alba del 24 per trasportarlo a Vertoce.
Desolato ma fiero
Al fratello maggiore Carlo (di istanza a Pavia) arrivò la tragica notizia solo alcuni giorni dopo. A lui toccò il difficile compito di riconoscere il corpo e provvedere ad una prima sepoltura nel cimitero di Vrtoče, in Bosnia. A Carlo, il dovere di informare i poveri genitori della scomparsa del loro Tonin. Pochi mesi dopo, la tragedia umana della disfatta di Caporetto metterà in evidenza la brutalità dell’uomo e della sua natura bestiale. La scellerata decisione del Generale Cadorna farà sì che la popolazione friulana e l’Italia intera scoprano gli orrori nefasti di cui è capace l’essere umano privato di ogni credo, ridotto alla fame e per di più braccato dal nemico Tedesco. Le prime punte austriache giunsero a Treppo Carnico il 29 ottobre 1917 e vi rimarranno sino alla fine della guerra.
Fortunatamente Antonino non vedrà questa pagina nera della nostra Storia, che ancora oggi indigna e indispone. Lui combatteva per degli ideali ed è morto per difenderli, senza arretrare di un sol passo, ma in perenne avanzata, lasciando sul campo di battaglia la sua giovinezza.
Traspuartin Tonin!
Le spoglie di Antonino giungeranno a Treppo Carnico solo molti anni dopo, a guerra oramai finita. Era il 24 settembre 1922 e quella domenica la Carnia intera in suo Onore, si fermò. Migliaia di persone da ogni vallata riversarono sul ponte dell’Orteglas in attesa delle spoglie dell’eroe caduto. C’erano tutti, chi giunto a piedi, chi con camion o con carretti. C’erano scolaresche, squadre di camicie nere, associazioni, alti ufficiali in divisa, gente comune di ogni ceto sociale.
“Traspuartin Tonin” ripetevano le persone accanto alla bara, come se l’onore di accompagnare quelle spoglie fosse diventata la priorità massima a cui potessero aspirare. “Traspuartin Tonin” sommessamente vociava la gente che gli aveva voluto bene, che lo aveva amato sin da bambino, che lo aveva accudito sin da quando era in fasce. La folla quel giorno lo trasportò davvero.
Un atto di deferenza non solo nei riguardi dell’eroe Antonino, ma anche della sua famiglia, quella del Cav. De Cillia, che non mancò di immolare i propri figli per la Patria, ma che davanti ad un dolore così forte, non si riprenderà mai completamente.
Un corteo interminabile si estendeva a perdita d’occhio, striata dai gonfaloni, da bandiere e da fiori. Lambiva le strade ed i prati del nostro paese in lutto. Nonostante la folla immensa, nell’aria aleggiava un silenzio religioso che intervallato saltuariamente dall’ “Inno del Piave” suonato dalla Banda di Sutrio. La cerimonia funebre lasciò spazio alla rievocazione dei ricordi da parte delle persone che avevano avuto l’onore di conoscere Antonino. Furono gli amici di infanzia ed i commilitoni a prendere la parola, esternando l’affetto ed il sentimento di amore nei riguardi del loro amico prematuramente scomparso. Silvio Plazzotta, amico d’infanzia di Tonin tratteggiò la bella (a tratti mistica) figura rivelandone le aspirazioni, le riflessioni giovanili ed i sogni degli anni passati assieme. Poi l’intervento del Dottor Mussa che portò il saluto del Fascio di Treppo Carnico, incidendo in poche parole il concetto di Patria tanto caro ad Antonino. Il suo Maestro di infanzia Giulio Martinis prese la parola per ultimo, tracciò una breve biografia, ne elogiò le virtù e rievocò le gesta di quel suo alunno. Dopo la cerimonia, l’ultimo viaggio al campo santo. Nonostante la gente continuasse a confluire a Treppo per un ultimo saluto ad Antonino, un silenzio solenne troneggiava su tutto e tutti.
A Noi!
Il ricordo di questo nostro Eroe dimenticato, permane vivo e lucido nei parenti lontani che ricordano il loro antenato, chiamandolo affettuosamente “Tonin”. Noi abbiamo voluto ricordarlo così, per dare il doveroso tributo ad una persona tanto tenace quanto caparbia. Un compaesano che, come tutti gli altri Eroi il cui nome è impresso a perenne memoria sul monumento ai caduti del nostro paese, non possono essere dimenticati dopo tutto ciò che hanno fatto per la Patria, dopo tutto ciò che hanno fatto per le future generazioni. Siamo loro debitori e come tali abbiamo il dovere di onorarli e mantenerne vivo il ricordo e la presenza. Ed è altrettanto doveroso vigilare sempre con un occhio di riguardo sullo stato di questo memoriale.
Così purtroppo non è, perché se al lento incedere del tempo, sommiamo anche l’insopportabile ed indecorosa moda di utilizzare tale monumento come deposito di rifiuti, capiamo da soli che qualche mancanza, la nostra comunità ce l’ha, sul fronte del rispetto e del decoro. Se gli enti preposti alla tutela hanno le loro colpe per lo stato pietoso in cui versa questo importante monumento, neppure noi semplici cittadini, possiamo esentarci dalle nostre responsabilità. Abbiamo il compito di educare i nostri figli alla scoperta della nostra Storia (spesso e volentieri dimenticata) e rendere alto l’onore dei tanti che hanno sacrificato la loro giovane vita, per un futuro migliore, il nostro.
FONTI:
– Igino Dorissa (storico)
– Testimonianze dei famigliari
– Internet
Bondi ,
Grazie per questo splendido racconto pero come cambiare questo nuovo mondo fatto di privazione di violenza e dove il paese e le famiglie hanno perso gli valori della vita e sopratutto tutti ingabiatti nel telefonino nel computer e nella tv di propaganda a pensiero unico aloro io mi andrebbe di cambiare il mondo comé canta renato zéro !
loro vogliono cambiare l essere umano in robot da commandare per eliminare il mondo passatto .
Non ci resta ché sperare ché cosi non finira , qui in francia il peggio arrivera prima ché in italia .Mandi .