Chi era Aldo Moro
UNA VITA DA NON DIMENTICARE
ALDO MORO (1917 – 1943)
Moro Osvaldo (Aldo), figlio di Ferdinando e di Morocutti Teresa, nacque a Treppo Carnico il 28 luglio 1917. Erano i mesi difficili della prima guerra mondiale, il padre era al fronte e non ritornò più a casa: morì a Col Berretta il 14 dicembre dello stesso anno, lasciando un vuoto incolmabile nella famiglia, acuito dal fatto che non se ne ritrovò il corpo.
Nonostante la grave perdita, Aldo visse sereno gli anni della sua fanciullezza a Treppo, nella casa del nonno materno Vigj di Gleries, attaccatissimo alla mamma e al fratello Nando. Scriverà dal fronte il 29 maggio 1941:
«Ricordi, cara mamma, i lontani tempi della mia fanciullezza quando mi giungevi le mani, mi facevi pregare gustando il poema che suole emanare dall’innocenza che si eleva a Dio? Come sapevi parlare al tuo figlio! Come sapevi ricordargli che il papà era volato in Paradiso e di lassù accarezzava con lo sguardo la sua chioma ricciuta. Io ti ascoltavo e stringevo la mia testolina al tuo viso, ignaro di nascondere così a me e agli astanti, le lacrime di commozione che gonfiavano i tuoi occhi pieni di materne espressioni. Cara mamma, io lo so che noi, io e Nando, ti demmo grandi preoccupazioni, ma altresì che, dando campo al tuo grande cuore di amarci intensamente, noi fummo coloro che ti regalarono le gioie migliori, coloro sui quali tu riversasti anche l’affetto che non potesti tributare al cuore del babbo scomparso…».
Frequentò le scuole elementari a Treppo ed ebbe per maestri la signora Pusca Maria, la signora Nicolina Gattolini e il signor Giulio Martinis. Conseguì con buon profitto la licenza elementare nel giugno del ’29 ed essendo d’intelligenza pronta e vivace gli fu consigliato di proseguire gli studi.
Quale orfano di guerra avrebbe potuto iscriversi al Collegio di Rubignacco, ma considerata la costituzione gracile e la salute malferma, fu indirizzato al Collegio salesiano di Tolmezzo. Là trascorse sette anni, dapprima come interno, poi quando cominciò le classi superiori, solo come alunno. Scriveva alla madre nel ’34:
«Lo studio occupa tutto il mio tempo e lo trascorro con serenità e con attività anche. . . Sulla salute non c’è molto da dire, sto bene ma lo sai che il mio fisico non può far miracoli e ti avviso prima di non credere di trovarmi roseo, a ciò penserò questa estate nella quale avrò accresciuto bisogno di svago perché mi sento oltremodo smembrato».
Negli ultimi anni di scuola fu a pensione dalla compaesana Morocutti Maria (de Fu) che si forzò di irrobustirlo a suon di «patate fritte»! Né la Maria poté far molto; era quella la sua costituzione: alto di statura, fisico asciutto e viso affilato.
Dai salesiani ricevette una solida formazione intellettuale, ma soprattutto una profonda educazione morale e cristiana. Fin da piccolo era stato allevato ai valori della fede in famiglia, ma aveva goduto anche della vicinanza di don Lorenzo Dassi che aveva subito intuito in Aldo una particolare disponibilità interiore. La fede aveva radici profonde nel suo animo e trovava terreno fertile nel suo cuore. Le verità religiose lo appassionavano: il 24 maggio 1932, quando frequentava la terza ginnasiale, ottenne dai salesiani il premio di primo grado per la diligenza nello studio della religione. Scriveva ancora alla madre nel ’34:
«Ciò che ti raccomando è la preghiera; è un fatto che sperimentai molte volte: dopo la morte della nonna ebbi prove evidenti di protezione veramente forte. . . Perciò non ti chiedo cibo – concludeva – ma preghiere: prega e fa pregare la Madonna di Castelmonte».
Davvero strani suggerimenti sulla bocca di un diciasettenne! Alimentata da una costante preghiera, la sua entusiastica fede lo spinse, fin dagli ultimi anni di scuola magistrale, ad iniziare una fervente attività di apostolato che lo portò nel ’38 a diventare Presidente foraniale della gioventù di Azione Cattolica. In paese organizzava incontri, faceva conferenze, si dava anima e corpo per istruire nella religione ragazzi e giovani. Spesso era chiamato a far “propaganda” fuori paese a Paluzza, Sutrio, Tolmezzo ed oltre.
Nel giugno 1937 ottenne il diploma di magistrale sostenendo da privatista l’esame presso la scuola “Caterina Percoto” di Udine e meritandosi una valutazione di 66 punti. Nell’ottobre dello stesso anno iniziò la carriera di insegnante, in qualità di supplente, proprio nella scuola del suo paese, a Treppo. L’insegnamento era la sua vera vocazione: si preoccupava non solo di formare dei bravi cittadini, ma dei buoni cristiani. E si dedicava con scrupolo a questa importante missione. Racconta la maestra Caterina De Marchi, oltre che collega grande amica di Aldo, che quando non era sicuro di qualcosa, veniva su dalla sede della latteria a quella della biblioteca, dove lei insegnava, per chiedere suggerimenti: aveva gran paura di sbagliare! Trattava affabilmente i suoi alunni e voleva loro bene. I bambini ricambiavano il suo affetto ed avevano una vera venerazione per lui tant’è, racconta ancora la signora De Marchi, che a Timau fino a qualche anno fa, si cantavano ancora le canzoni che aveva insegnato lui, nel breve periodo in cui aveva fatto scuola in quel paese. Mentre era al fronte mantenne corrispondenza con i suoi alunni. A Pasqua del 1942 così rispondeva al suo scolaro Armando Morocutti:
«Carissimo Nuti, non puoi immaginare il piacere che hai reso al tuo maestro. Grazie! Ricordami sempre al Signore e dì che mi faccia tornare fra voi, perché non posso star più a lungo lontano dai banchi di scuola. Parlo al tuo cuore di bimbo e parlo a quello di tutti i tuoi compagni e a quello grande della tua maestra: sono commosso. Studia e prega, saluta i tuoi compagni e compagne. Il tuo maestro».
Era un bravo insegnante. Lo conferma questo profilo tracciato dal Direttore didattico Angelo Matiz in occasione della sua visita alla classe del maestro Moro Osvaldo, il 31 marzo 1938: «Il maestro è al suo primo anno d’insegnamento, dimostra un senso vivo della scuola, rivela una buona cultura personale ed una sincera aspirazione a divenire un ottimo maestro». Dal suo fascicolo personale risulta che ebbe giudizi fra l’otto e il nove in tutte le sezioni in cui si articolava la valutazione del servizio prestato.
Più volte, considerate le rare doti di intelligenza e di fede, gli venne fatta proposta di abbandonare la carriera di maestro per migliorare la sua posizione, ma Aldo rifiutò decisamente sostenendo che «la missione più bella e sublime è l’educazione dell’infanzia per poter elevare le piccole anime a Dio». Sicuro che quella era la sua strada, nel 1939 si iscrisse al corso di Magistero alla Università Cattolica di Milano.
La prima nomina portò Aldo a svolgere l’attività di maestro a Treppo. L’anno scolastico successivo (1938 – ’39), forse in seguito ad attriti con le autorità politiche locali, dovette andare a Timau. Il motivo del trasferimento sarebbe derivato dalle profonde convinzioni religiose e dall’attività di testimonianza cristiana che Aldo svolgeva come dirigente di Azione Cattolica. Anteponeva gli obblighi di coscienza (partecipazione alle funzioni e alle riunioni) alla disciplina di partito, secondo le accuse. A riprova di questo, c’è la comunicazione del Segretario del fascio di Treppo all’Ispettore federale di Tolmezzo (n° 164 del 17 marzo 1939), che dopo aver riportato alcuni fatti così conclude:
«Osservo che il maestro Moro Osvaldo insegna, quale supplente, nelle scuole elementari di Timau; che contrariamente alle disposizioni del Regio Provveditorato di Udine circa il sabato fascista, egli, a Timau, non svolge alcuna attività organizzativa; che, nel pomeriggio di ogni sabato, egli si trova per tempo a Treppo Carnico, dove pure la sua attività a favore delle organizzazioni si riduce a zero. Per l’Azione Cattolica, egli è sempre presente».
Erano quelli gli anni in cui l’Azione Cattolica tornava ad essere guardata con sospetto dal Regime che voleva portare avanti un proprio programma di “educazione” della gioventù, ispirato ai miti “pagani” della esaltazione della disciplina e della forza fisica in vista della preparazione alla vita militare. Erano anche anni in cui la Chiesa e l’Azione Cattolica timidamente cercavano di prendere le distanze dal Regime. Se dal 1931 al 1938 vi fu una certa collaborazione tra Chiesa e Fascismo, con l’avvicinamento alla Germania nazista e con la promulgazione delle Leggi Razziali i rapporti si raffreddarono e la Chiesa cominciò ad essere critica, mentre il Fascismo riprese le ostilità.
Se queste cose non turbarono la coscienza della gente comune, certamente questo clima mutato era avvertito dai cattolici più impegnati. Dio e Patria non andavano più assieme, ma da una parte si avverte l’obbligo morale di seguire Dio e i precetti della Chiesa, dall’altra parte era necessario adempiere al dovere di servire la Patria, che spesso entrava in contrasto con i dettati di coscienza. Queste contraddizioni si fecero più acute con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco del Terzo Reich.
Aldo era cosciente di questi conflitti e li viveva dentro di sé ed erano per lui fonte di turbamento e di tormento spirituale. Scriveva alla madre il 4 luglio del 1941:
«Certamente io ho bisogno di grandi alimenti spirituali: sono facile al dubbio, ma questo non è mai preparato da naufragi dell’anima; no, salta fuori come una comune tentazione e verte su quella che sarà la mia vita di domani…Comprendo che al dubbio dovrei rispondere dicendo: quel Dio che pensò di incanalare così bene i tuoi affetti, non si esimerà dall’aiutarti per l’avvenire! Io invece sto a pensare: come sostenterò la mia famiglia domani? Dati i miei principi, riuscirò a mantenere il mio posto in società? E se domani dovessi rattristare la mia amata e tutti voi per le mie scelte? Non mancherà il pane alla mia famiglia? Ecco il grande interrogativo»!
Davanti a questo interrogativo la Chiesa del tempo si tratteneva dallo spingere i fedeli in rotta di collisione con un regime che teneva solidamente in pugno le sorti individuali. Esemplare è la questione del Giuramento, condizione per il lavoro, per il pane: la Chiesa lo consentiva purché venisse fatta riserva in coscienza (e quindi non davanti a testimoni) di rispettare, innanzitutto, le leggi di Dio e della Chiesa.
Aldo era riflessivo, profondo nei suoi pensieri e severo con se stesso, portava avanti con coerenza ed impegno le sue convinzioni, ma non si isolava dagli altri. In paese era benvoluto da tutti. Con i coetanei sapeva stare in compagnia e coltivare l’amicizia. Di questa sua sensibilità si ha testimonianza dal gran numero di corrispondenze che tenne negli anni della guerra e dalle lettere di solidarietà che giunsero alla famiglia in occasione del suo funerale.
Fra gli amici più cari c’erano Giuseppe Baritussio, Pino Plazzotta, De Cillia Benito e Del Linz Gino. Assieme a questi ultimi realizzò il primo campo di football di Treppo, nei pressi dell’Orteglas, sotto lo stavolo di Mariute dal Buz. Gli piaceva molto il calcio: anche durante la guerra, in Slovenia organizzava e partecipava a partite di pallone! Quand’era in compagnia sapeva essere gioviale ed espansivo, dispettoso all’occorrenza. Si dilettava a scrivere poesie di carattere scherzoso che poi declamava e inviava agli amici.
L’anno trascorso a Timau fu il periodo più felice della sua vita. In quel paese strinse amicizia con una collega e quel rapporto si consolidò nel tempo e divenne l’amore sereno e intenso che animò gli ultimi anni della sua breve vita. Ma le prime avvisaglie della guerra vennero a turbare quella che sembrava un’esistenza destinata ad una piena realizzazione. Nel 1939 fu chiamato alle armi ed il 1° settembre partì per frequentare ad Arezzo il corso allievi ufficiali di fanteria. Coi commilitoni fece nuove amicizie, attestate dalle numerose foto del suo album. Dopo cinque mesi, il 28 febbraio 1940, venne inviato a casa in licenza illimitata e per un mese riprese servizio di insegnante nella scuola elementare di Treppo che nel frattempo era diventata la sua sede di ruolo. Il 1° aprile fu mobilitato come sottotenente di fanteria e inquadrato nel I° Reggimento di fanteria “Re”.
Il 27 aprile si fidanzava ufficialmente. L’amicizia fiorita un anno e mezzo prima a Timau, era maturata in un rapporto d’amore tenero e profondo, non turbato dagli eventi. Racconta la maestra De Marchi che il giorno del fidanzamento di Aldo, anche lei e Sef, (pochi mesi dopo suo marito) erano stati invitati alla festa nella casa di Gleries. Al momento del brindisi, quando la bottiglia fu stappata, tutto il contenuto fuoriuscì bagnando abbondantemente sia lei che siôr Sef, mentre neanche una goccia toccò ai festeggiati. Era un triste presagio!
La guerra era alle porte. Il 10 giugno 1940, data d’inizio delle ostilità, Aldo fu inquadrato nell’XI Battaglione mitraglieri di Corpo d’armata dove rimase definitivamente come comandante di una compagnia. Passò i primi mesi a Udine, Cividale e San Pietro al Natisone, poi venne inviato nei territori di confine orientale della provincia di Gorizia: Sebreglie, Montenero d’Idria, Aidussina, ecc. Con il 6 aprile 1941 il territorio fu dichiarato zona di operazioni e l’11 aprile le nostre truppe invasero la Jugoslavia. Da allora Aldo fu dislocato con la compagnia che comandava in varie località della Slovenia: Deviga Marje, Velike Lasce, Lubiana, Cusperk, Kocevje, ecc. Il 1° aprile 1942 fu promosso tenente.
Venne a casa in licenza diverse volte; l’ultima fu il 25 gennaio 1943 quando si sposò il fratello Nando. Scriveva il 27 febbraio: «Che bei ricordi se penso ad un mese fa! Come sono stato lieto dell’unione di Nando e Anute, unione che mi è parsa un premio alla virtù». Nella sua ultima lettera, due giorni prima di morire, confidava alla madre:
«Io ho intenzione di sposarmi entro l’anno…».
All’alba del 16 marzo 1943, nonostante avesse ottenuto un permesso per recarsi a Lubiana per cure mediche, non volle lasciar soli i suoi soldati mentre era in corso un’offensiva nemica, e si offrì di condurre lui l’azione di pattugliamento alla linea ferroviaria Lubiana – Cocevie. Per un improvviso attacco partigiano, fu coinvolto in un aspro combattimento nei pressi del Casello di Sant’Antonio e alle 6:15 venne colpito mortalmente a un fianco. Il 18 marzo con straordinario concorso di civili, vennero celebrati a Lubiana i funerali. Vi presero parte numerosissime rappresentanze militari ed un gran numero di ufficiali tra cui il generale Perni, comandante la Fanteria divisionale “Cacciatori delle Alpi”. Venne sepolto temporaneamente nel cimitero di guerra della città slovena. Ottenuto il permesso di rimpatrio, la salma fu trasportata a Treppo, dove con solenni funerali venne tumulata il 16 aprile.
Questo testo è stato estrapolato da un articolo sulla figura e la vita di Aldo Moro scritto dal nipote Nino Moro. Quest’ultimo ha gentilmente messo a disposizione del nostro sito il suo lavoro di studio, di ricerca e di consultazione dell’archivio epistolare e fotografico che la famiglia Morocutti – Moro ha custodito negli anni per preservare dall’oblio la vicenda umana e storica di questo nostro illustre compaesano.
Chi volesse leggere integralmente l’articolo può consultare il bollettino n° 38 del dicembre 1990 oppure il secondo volume della raccolta e ristampa dei bollettini, “La noste valade”, editi dall’Associazione Culturale “Elio cav. Cortolezzis” nel novembre 2000.