Vivere la S. Pasqua ai tempi del coronavirus
Oggi, nel mettermi a scrivere, mi si impongono due temi: il coronavirus e la S. Pasqua. Cosa ci dona la fede pasquale in questi giorni tragici? Come la Pasqua getta una luce e ci sostiene in questi giorni pervasi dal lutto, dalla preoccupazione, dalla paura? Prima di tentare di dare una risposta a questi quesiti vorrei ringraziare di cuore e manifestare la mia stima a tutte quelle persone che conosciamo, e non conosciamo, che stanno prendendosi cura, a volte con vero eroismo, degli ammalati, degli anziani, delle persone fragili, di quelle colpite dal lutto: personale sanitario, figure istituzionali, volontari della Protezione civile, della Croce Rossa, di altre associazioni o che si fanno singolarmente prossimi ai bisognosi. Grazie di cuore per tutto quello che state facendo spesso mettendo a repentaglio la vostra salute! A Pasqua celebriamo la risurrezione di Gesù il quale, dopo essere apparso per quaranta giorni ai suoi discepoli, ascende al cielo. Egli però non ci abbandona: ce lo garantisce con le sue ultime parole “ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” e con l’invio, a Pentecoste, del suo Santo Spirito. La Pasqua, quindi, possiamo concepirla come il preludio di questa compagnia costante di Gesù, giorno dopo giorno, istante dopo istante.
É questa presenza che ci permette di essere forti sereni, disponibili, solidali, capaci di vivere questo difficile momento già “da risorti”. In questo periodo, sia ascoltando le persone, sia cogliendo gli stati d’animo di molti sui social, ho avuto modo di percepire molta ansia, molta paura in tante persone. Il monaco benedettino dom Giulio Meiattini, nei giorni scorsi, ha scritto un’interessante riflessione sul panico generale che domina davanti al coronavirus: «In realtà, si ha troppa paura di morire, o anche solo di star un po’ male. E in questo momento la paura è spropositata rispetto alla minaccia in atto. E perché? Il motivo forse più profondo, o uno dei principali, penso sia una mancanza di prospettiva futura. Chi ha combattuto per la patria e la libertà era disposto a sacrificare la vita proprio perché il futuro era un bene superiore al presente. Analogamente per i cattolici, il vero credente preferisce rischiare la vita e perderla, piuttosto che rinnegare la sua fede, perché ha davanti a sé il futuro eterno, oltremondano, il paradiso». Oggi, invece, la nostra cultura non ha più un futuro, è appiattita sul presente, sull’effimero: «Se perdiamo il presente, perdiamo tutto». In generale dunque, «possiamo dire che l’epidemia in atto in questo momento attinge tutta la sua forza, non dal numero delle vittime o dalla sua obiettiva pericolosità, ma dalla debolezza spirituale dell’umanità». Non fa eccezione purtroppo la Chiesa, tutta ripiegata sul presente, che non giudica più a partire da una prospettiva eterna. Dice dom Meiattini: «La cosa più triste, e preoccupante per il futuro dell’umanità, è che la stessa Chiesa (o meglio gli uomini di Chiesa) hanno dimenticato che la grazia di Dio vale più della vita presente. Per questo si chiudono le chiese e ci si allinea ai criteri sanitari e igienici. La Chiesa trasformata in agenzia sanitaria, invece che in luogo di salvezza. Ci pensino bene i vescovi a chiudere le chiese e a privare i fedeli dei sacramenti, dell’eucaristia, che è medicina dell’anima e del corpo: chiudere le porte ai cristiani e pensare di potersela cavare con la scienza umana, è chiudere le porte all’aiuto di Dio.
È confidare nell’uomo, invece che confidare in Dio». Cerchiamo ora di vedere qual è il rimedio, efficace, che il Vangelo ci offre per vincere le nostre paure. Il rimedio si riassume in una parola: fiducia in Dio, credere nella provvidenza e nell’amore del Padre celeste. La vera radice di tutte le paure è quella di ritrovarci soli. Gesù ci rassicura ripetendoci: “Io sono con te, tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. San Paolo ci insegna un metodo pratico per vincere le paure. Nella lettera ai Romani, a un certo punto, egli passa in rassegna tutte le situazioni di pericolo e le cose che hanno minacciato di abbatterlo nella vita: “la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada” (Romani 8, 35 ss). Con ognuna di queste parole allude a un fatto realmente accadutogli. Guarda quindi tutte queste cose alla luce della grande certezza che Dio lo ama e conclude trionfalmente: “In tutte queste cose noi stravinciamo grazie a Colui che ci ha amati”. Questi giorni leggiamo un po’ ovunque e forse, per darci coraggio, abbiamo scritto noi stessi o fatto scrivere ai nostri bimbi “Andrà
tutto bene” oppure “Tutto andrà bene”. É la frase slogan dell’emergenza in cui siamo immersi. Un motto che vuole essere un invito a non perdersi d’animo di fronte all’incertezza di quel che sarà. Se è difficile stabilire dove sia andato a cercare la citazione chi l’ha postata per primo, di sicuro ha un’origine religiosa. Fu la beata Giuliana di Norwich, mistica inglese che visse tra il 1342 al 1430, a riceverla da Gesù.
Affinché queste parole sprigionino tutta la loro forza dobbiamo inserirle in un contesto battesimale e pasquale e allora riusciremo a comprendere il perché Tutto andrà bene. Sarà così, perché Gesù: 1) è con noi; 2) ci ama, e la croce è evidenza lampante di questo; 3) è il Signore, è Dio e quindi tutto può. Auguro a tutti, in modo speciale ai più fragili, sante e serene Feste Pasquali. Vi benedico
Don Harry
Ringrazio tutti per l’articolo particolarmente toccante che ho letto fino in fondo col fiato sospeso e il cuore sempre più emozionato. Auguro a tutti voi una Santa Pasqua e spero di abbracciare presto la Carnia di mio papà Giacomo Plazzotta (Jacum di Gosper) e tutti i miei cugini
Margie