Questa è una vecchia leggenda, nata attorno al mito del “Cjastielat” e tramandata nelle famiglie di Treppo Carnico per molto, molto tempo.
Paolo detto “il Cramaro” era un giovane girovago bello e forte che sapeva accompagnare a meraviglia il suo canto dolce ed armonioso al suono del liuto. Una dote innata la sua, che attirava l’attenzione di giovinette e castellane, le quali, incantate da quella melodiosa armonia, ricambiavano con graziosi sorrisi. Ma egli era innamorato perdutamente di una bellissima fanciulla di nome Rita. Fidanzati da molto tempo, si erano promessi l’uno alll’altra Amore eterno, in attesa di convolare a nozze, non appena avessero avuto le risorse economiche per farlo.
Un giorno però a Paolo venne recapitata una misteriosa lettera che lo obbligava ad intraprendere un lungo viaggio in terre straniere. Fu così che il giovane a malincuore partì, lasciando il suo paese natale Treppo e l’amore della sua vita Rita. In sua assenza, il Conte di Siajo, che già da qualche tempo aveva messo gli occhi sulla fanciulla, iniziò a corteggiala insistentemente. Lei, che sperava ancora nel ritorno del suo amato, rifiutò garbatamente ogni avance del nobile. Ma con astuzia e molta malizia, alla fine il conte riuscì nel suo intento, persuadendo la ragazza che il suo fidanzato fosse morto. Rita, ingenua quanto bella, gli credette, cedendo così alle promesse del signorotto.
Alcuni mesi dopo, nel castello di Siaio, si celebrarono solenni nozze. Nozze imponenti come solo i nobili di un tempo potevano permettersi. Sale rigurgitanti di ospiti da tutte le vallate vicine, videro i festeggiamenti protrarsi fino a notte fonda, mentre balli, canti e prelibatezze di ogni genere, allietavano gli invitati. Molti di questi erano giuti dai vicini castelli, a molti pellegrini venne offerta ospitalità. Tra questi, l’arrivo inaspettato di un viandante incapucciato, che con decisione entrò nel castello facendosi largo tra la folla festante. Questi si fermò dinnanzi alla sposa, alzando lo sguardo e incrociando quello di Rita. Lei riconobbe subito il suo Paolo, ma l’emozione fù talmente tanta che svenì a terra. Paolo a quel punto, togliendosi il cappuccio urlò contro il Conte, reclamando che Rita era sua e di nessun altro.
Il Conte offeso da quell’impudente atteggiamento, ordinò ai suoi sgherri di sequestrare lo spasimante, conducendolo lontano dalla folla di invitati, incredula e sbigottita. Lo smacco che aveva subito il nobile non poteva essere lasciato impunito, in serbo per Paolo una fine tragica. Venne gettato da una delle finestre del castello che danno su un profondo dirupo, uccidendolo all’istante. Dietro Paolo, gettarono anche il luito a lui tanto caro. Ma lo strumento, che in tanti cuori aveva acceso sentimenti dolci, rimase impigliato ai rami di un albero.
Rita al suo risveglio non riuscì ad arrendersi al fatto di aver nuovamente perso l’amore della sua vita. Cercò nei giorni successivi di riprendersi, ma il dolore per la perdita del suo fidanzato, le fece compiere un gesto estremo. In una gelida notte di inverno, scelse di gettarsi anch’essa da quella stessa finestra in cui trovò la morte il suo Paolo.
Da quella tragica notte, il liuto abbandonato su quel ramo d’albero sferzato dal vento d’inverno e dalle brezze mattutine, iniziò a vibrare le sue corde con dolci armonie. Dopo secoli dalle vicende che vi ho appena narrato, la leggenda vuole che chiunque attraversi di notte le oramai vetuste rovine del Cjastielat, possa ancora udire le dolci note del liuto che accompagna le voci dei due sfortunati spasimanti.