I maçarots
Di fronte a Treppo Carnico, in cima al “Vialòn” nei pressi del “crét de Surute”, c’erano una grande roccia e una grotta dove si narra vivessero i famigerati maçarots.
Vi chiederete perché famigerati? Erano creature paurose e terrificanti, crudeli, molto alte di statura, piuttosto brutte, con il corpo interamente ricoperto di peli, vestiti solamente delle pelli degli animali che cacciavano e, come scoprirete tra poco, anche poco intelligenti!
I maçarots si nutrivano maggiormente di carne e passavano la loro vita nei boschi come dei selvaggi. Questi moderni trogloditi erano la disperazione della gente di Treppo perché razziavano e saccheggiavano senza pietà stalle, pollai ed ovili dei poveri paesani; rubavano galline, capre, pecore, conigli e ogni altro tipo di animale domestico, privando così le famiglie del luogo del loro essenziale sostentamento.
Il loro cibo preferito era però la carne di maiale e appena udivano un porcello grugnire, arrivavano a grandi frotte in paese, urlando e strepitando dalla gioia; poi rubavano l’animale e lo portavano nelle loro grotte dove festeggiavano e cantavano per il goloso bottino. Sul soffitto delle caverne erano appesi salami, pancette, salsicce e lardo in gran quantità.
La gente di Treppo quindi doveva inventarsi tutti i trucchi possibili immaginabili affinché il maiale, giunta la sua ora, spirasse nel più assoluto silenzio. Il metodo migliore sembrava essere quello di imbavagliare ben bene il grugno della bestia prima di farla uscire dal porcile per incontrare il norcino.
Un giorno di novembre, Mariute di Cjadisòt, una povera vedova con otto figli da sfamare, decise di uccidere il maiale che aveva nutrito con fatica e sacrifici nei mesi precedenti. Quella preziosa scorta di carne avrebbe sicuramente consentito alla sua numerosa famiglia di trascorrere l’inverno in serenità, senza dover essere costretta a soffrire la fame. Aiutata dai figli più grandi Mariute comincia ad imbavagliare con delle fasce di resistente stoffa il grugno dell’animale, mentre il norcino sferra il colpo mortale. Tutto sembra essere andato per il meglio quando il maiale, non si sa bene come, riesce a togliersi parte del bavaglio e prima di spirare lancia quattro grugniti forti e lancinanti.
Quegli schiamazzi vengono subito uditi dai maçarots che iniziano a correre cantando e gioendo lungo i sentieri del bosco, già pregustando l’appetitosa preda. La terrificante truppa si sta avvicinando inesorabilmente a grandi falcate alla casa della vedova. I vicini, venuti ad aiutare Mariute nella lavorazione del maiale, fuggono spaventatissimi a gambe levate e così fa anche il norcino che, raccolti i suoi strumenti di lavoro, scappa lasciando la famiglia nella più grande angoscia.
Mariute allora mette in atto un piano disperato che sa di prodigio! Chiama ad alta voce i suoi figli che si sono nascosti negli angoli più bui della casa, corre in camera e prende in gran fretta il copriletto più bello, poi si precipita in cucina e sistema il corpo del maiale sul tavolo, accende quattro candele disponendole agli angoli del “defunto” in quella improvvisata veglia funebre.
Ordina ai figli di inginocchiarsi tutt’attorno e di piangere disperatamente. I bambini sono talmente spaventati che recitano a meraviglia il loro ruolo, come degli attori provetti! Intanto Mariute completa la scena: infagotta il maiale con il copriletto, prende un po’ d’acqua e la mette in un contenitore ai piedi del tavolo sistemandovi dentro anche un ramoscello di ulivo benedetto e……tocco finale: si scioglie le lunghe trecce e scarmigliata e arruffata si getta sul cadavere piangendo, abbracciandolo e baciandolo con l’intento di mascherare orecchie e muso del “morto”.
Appena in tempo! Ecco che entrano in casa i maçarots! Mariute singhiozza in maniera toccante e dalla sua bocca escono gemiti e lamenti tanto disperati che i selvaggi si bloccano di colpo, sbalorditi e stupiti da tutto quel dolore e quella desolazione. Si guardano l’un l’altro, quasi imbarazzati, finché il loro capo con un vocione cavernoso ordina di ritirarsi e di rientrare nelle grotte.
Per quell’inverno le provviste erano assicurate!
Dei maçarots attualmente rimangono due cose vere e reali in paese: è ben visibile la roccia che porta il loro nome e inoltre per definire un uomo superficiale, sciocco e poco intelligente, la gente usa l’espressione: “Al è un biât maçarot” (è solo un povero tonto). Appare comunque chiaro l’intimo significato della leggenda: ne emerge vigorosa un’immagine della donna carnica come sinonimo di energia, di intelligenza, di genuina furbizia e di temperamento. Viene immedesimata ad una persona che non si perde d’animo e che con prontezza, anche nei momenti più disperati, sa trovare una soluzione a problemi apparentemente insuperabili. La vita dura e faticosa che le tante Mariute carniche hanno dovuto affrontare, mentre i mariti emigravano in cerca di lavoro, le ha temprate e fortificate a far fronte ad ogni situazione soprattutto se queste mettono in pericolo la famiglia.
Nelle giornate di sabato 29 settembre e 6 ottobre 2001 questa leggenda è stata rappresentata con un murales dagli alunni della locale scuola primaria. L’iniziativa era stata promossa dall’associazione culturale “Elio cav. Cortolezzis” ed attuata grazie alla collaborazione degli insegnanti e delle famiglie. Le due intense giornate di pittura si sono rivelate singolari e simpatiche e la fantasia aleggiava tra i vivaci colori, i numerosi pennelli e le voci allegre dei bambini. La leggenda era stata raccontata in classe dalla signora Giuseppina Adami, che tutti in paese chiamavano la Beppina, sempre disponibile a trasmettere la conoscenza del ricco patrimonio narrativo locale. Dopo una prima fase di disegno su carta, i bambini hanno riportato la leggenda direttamente sul muro aiutati anche dai ragazzi delle medie e dai piccoli della scuola materna. Ecco le immagini che si riferiscono alle due giornate. Chissà quanti adolescenti e adulti si riconosceranno negli artisti ritratti nelle foto!
Notizie tratte da:
“Timps e ricuarz” di Elio Craighero – I.R.D.C editore
“La noste valade” – Raccolta e ristampa dei bollettini parrocchiali edita dall’associazione culturale Elio cav. Cortolezzis – n.° 71, dicembre 2001.