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LA SUA FONDAZIONE
Le origini di Treppo risalgono al periodo del basso medioevo, intorno all’anno mille. Infatti proprio in quel periodo molti paesi delle nostre vallate iniziano a rinascere e a ricostruire l’abitato dopo le violente distruzioni delle invasioni barbariche. La Carnia durante il periodo medievale e fino al 1420 è stata territorio del Patriarca di Aquileia, il quale, essendo stato investito dagli imperatori sassoni del potere feudale su tutto il territorio friulano, controllava la zona attraverso un Gastaldo che risiedeva a Tolmezzo. Come tutte le altre porzioni di terre sotto il controllo patriarchino, la Carnia formava una gastaldia, termine che indicava una suddivisione territoriale amministrativa. Il più piccolo organismo politico comunale era a quel tempo costituito dalla vicinia, ovvero l’assemblea dei capifamiglia del paese. Un singolare reperto custodito nella sagrestia della chiesa di Sant’Agnese a Treppo consiste nella cassetta in cui il meriga, colui che reggeva il comune, depositava i documenti ed i soldi e che poteva aprire solo se erano presenti tutti e tre gli amministratori, cioè il meriga e i due giurati che lo aiutavano: infatti la cassetta aveva tre serrature e ogni amministratore possedeva solo una delle tre chiavi.
Nel 1420 il Friuli passa alla dominazione veneziana. Nella terminologia locale ancora si ritrovano espressioni come “il bosco bandito” in cui riscontriamo tracce della proibizione della Serenissima di tagliare determinate zone di bosco i cui alti fusti erano utili ai propri cantieri navali. Intorno al 1600 Treppo conosce un rinnovato splendore: il benessere arriva con il lavoro dei venditori ambulanti, detti cramârs, che girando tutta l’Europa e vendendo le loro stoffe, tessute in casa o provenienti dalla fabbrica di Linussio, portavano in paese i ricavi dei loro commerci. A quel secolo appartengono infatti le più vecchie case in muratura e tetti di tegole con portali in pietra tuttora esistenti a Treppo.
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L’ORIGINE DEL NOME
Il nome si incontra nella fascia alpina e se questo rende difficile scioglierne il significato originale, conferma però l’origine lontana e probabilmente gallo-celtica dei primi insediamenti nella zona. Il toponimo Treppo può riportare allo sloveno “trava” (erba), al carnico “trep” (fascia erbosa) oppure al latino “trivius” (trivio, incontro di strade). Nel primo caso il nome sottolineerebbe le caratteristiche della località che fin dai tempi remoti è sempre stata ricca di buoni pascoli, fertile, soleggiata e fuori mano, cosa questa che la rendeva sicura e quindi favorevole alle soste estive dei Carni, quando scendevano per pascolare e rifornirsi di legname. In tutti i casi la denominazione rimanda a specifiche funzionalità del territorio, considerato da un punto di vista economico (agricolo o commerciale). In epoca medioevale il territorio, inserito nel cosiddetto “Canale di San Pietro”, assiste ai contrasti fra potere patriarcale e potere feudale. La tradizione vuole che il sito più significativo dell’epoca fosse il Castello di Siajo, posto sul Cuèl Chiastelat, dirimpetto a Treppo, su un pianoro utile come postazione di vedetta. Il paese si costituisce nel patrimonio architettonico con edifici seicenteschi e settecenteschi caratteristici nei portali e nelle inferriate. E’ a quest’epoca infatti che risale il suggestivo disporsi di borghi e stradicciole che penetrano fra le abitazioni private ed il costituirsi di case dai muri in pietra e dai tetti in coppo. Sono anni di discreta prosperità per una popolazione che si avvicina a nuove professioni, quali quelle di venditori ambulanti, speziari e arrotini girovaghi diretti verso i paesi d’oltralpe, Austria e Germania principalmente.
Ad interrompere bruscamente e parzialmente questa nuova fase interviene, nel 1692, una tremenda alluvione che investe l’intera Carnia e provoca la distruzione di molti edifici, i cui resti sono riemersi in quest’ultimo secolo. L’edificio religioso più significativo, la chiesa di Santa Agnese, prende vita già nel 1327; l’aspetto attuale risente però di successive modifiche avvenute nel corso del tempo. Una prima, resa opportuna dalla necessità di ricostruire la chiesa distrutta dall’alluvione del XVII secolo, una seconda attestata nel 1791-1809 e costituita da una nuova riedificazione dell’edificio ad opera dello Schiavi. Con l’arrivo delle truppe napoleoniche interviene una modifica di tipo amministrativo così che Treppo, Zenodis e Siajo costituiscono un’unica entità comunale, mentre Tausia viene congiunta a Ligosullo. Un’ulteriore variazione interviene nel 1817, quando tutti i paesi della Val Pontaiba, su decisione del Vicerè del Lombardo-Veneto, vengono unificati nel comune di Treppo Carnico, pur con la concessione di mantenere l’amministrazione separata dei propri beni. La separazione con Ligosullo, che permane tuttora, risale invece al 1841 ed è ascrivibile ad una lite in merito al taglio di un bosco.
Un aspetto particolarmente curato del comune è sempre stato quello dell’istruzione. Per un paese tradizionalmente ricco di emigranti offrire un’istruzione di base adeguata era sentito quasi un obbligo. Così nel 1700 sorge la prima scuola avviata da un curato e trasformata un secolo dopo in scuola comunale. Significativa è la vicenda che porta proprio all’istituzione di questa prima scuola laica in paese: un certo Ferdinando De Cillia originario di Treppo, diventato l’unico erede del negozio del padre in Germania e delle ricchezze che questi aveva accumulato durante gli anni dell’emigrazione, alla ragguardevole età di 34 anni, nel 1873, decide di fare testamento! Esprime il desiderio che anche il suo paese natale abbia una vera scuola e accompagna la sua volontà ad un lascito di 10.000 lire. Con tale somma nel 1879 viene realizzata, su progetto dell’ingegnere Candido Morassi, la costruzione del fabbricato posto a lato del municipio. Tale edificio quindi ha sempre avuto una destinazione culturale: prima scuola, poi dal 1951 sede della biblioteca comunale e dagli anni Ottanta adibito ad accogliere anche il percorso espositivo della Galleria d’Arte Moderna Enrico De Cillia.
L’EMIGRAZIONE CARNICA
L’emigrazione è stata un fenomeno molto diffuso in Carnia ed in generale in tutto il Friuli a partire da anni molto lontani; nel 1860-1870 a Pietroburgo e a Sebastopoli degli impresari locali notarono in alcuni lavoratori friulani perizia ed abilità nella realizzazione di ponti e strutture edilizie. Fu così che il governo russo incaricò un certo Pietro Brovedan da Clauzetto, che al tempo lavorava nel Caucaso, ad inviare in Russia degli operai italiani da impiegare nella realizzazione della line ferroviaria transiberiana. Inoltre, a partire dal 1870, in Romania veniva richiesta manodopera di muratori e boscaioli, mentre alcuni operai di Raveo raggiungevano addirittura l’Indocina, per lavorare alle dipendenze di un’impresa francese produttrice di opere in pietrame nei porti navali.
Un paragrafo importante nella storia dell’emigrazione riguarda le intere famiglie che, fin dal 1860, si trasferirono in massa in Argentina. Ancora oggi i discendenti di suddette famiglie si riuniscono e conservano le nostre tradizioni tramandandole di generazione in generazione. Di preciso non si sa quando cominciò l’emigrazione verso gli altri paesi dell’America Latina, ma è noto che la popolazione friulana raggiunse gli Stati Uniti d’America intorno al 1880.
Nei primi anni del ‘900 l’emigrazione, esclusivamente maschile, cominciò verso la Svizzera quando dei muratori carnici giunsero in questo Paese seguendo i loro compatrioti piemontesi e lombardi. Oltre alla Svizzera la nostra gente raggiunse anche il Belgio. A testimonianza di ciò nella quarta foto, scattata proprio in Belgio il 1 agosto 1948, si riconoscono i compaesani Teodoro De Cillia “Teo di Brucje”, Giobatta Moro “Piche”, Luigi Moro, Lino Moro, Aristide Nodale, Leonardo Moro.
Anche in Francia esisteva una nutrita rappresentanza di persone di Treppo. Basti osservare la prima foto scattata a Clermont-Ferrand negli anni ’30: nel gruppo si riconoscono Pietro De Cillia “Pierin de Malie”, Andrea Beltrame “Drê di Bulcon”, Egidio De Cillia “Gjdi dal Mut”, Pietro Concina “Pierin de Cuc”, Fermo De Cillia, Gilberto Rainis, Osvaldo Urbano, Vincenzo Morocutti “de Chini”, Giobatta Morocutti “Titate”, Luigi Morocutti “Vigjut di Colaciâr”, Giuseppe Concina “Sefut di Pierisciti”, Vittorio Urbano “di Mineç”, Paolo Cortolezzis “Paulin de Sante”, Guerrino Morocutti “Colaciâr”.
Per quanto riguarda il nostro paese ecco cosa scrive Manuela Quaglia nel libro fotografico “Trep e i Teus” pubblicato nel 2002: “Il secolo scorso fu il periodo in cui Treppo Carnico visse il fenomeno dell’emigrazione come uno stillicidio massiccio e costante della forza lavorativa maschile. Le famiglie venivano private per lunghi periodi della presenza dei propri uomini, condizionando così la vita dei componenti. L’emigrazione, per lo più stagionale, era in un primo tempo rivolta verso i paesi d’oltreconfine, Austria, Germania, Bulgaria, Romana, Ungheria. Successivamente si intensificò verso Francia, Belgio e Lussemburgo, dove molti treppolani si stabilirono con le proprie famiglie, ed anche oltreoceano come in Canada, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Uruguay ed Australia.”
Solo durante il secondo dopoguerra si assiste in Carnia al fenomeno dell’emigrazione femminile; negli anni ’50 infatti anche le donne carniche incominciarono ad espatriare e a procurarsi un lavoro, solitamente in fabbrica o come domestiche, per contribuire al reddito della famiglia. Questo fenomeno fu certamente una necessità della popolazione locale, determinato sia della nostalgia provocata dal fatto di vivere lontani, sia dalla scarsa terra coltivabile, sia dal periodo invernale lungo e rigido che non consentiva occupazioni in loco.
La comunità più numerosa di emigranti originari di Treppo Carnico è sicuramente quella che si stabilì in Lussemburgo dove tutt’oggi vivono le seconde e le terze generazioni. Molti di questi discendenti, ormai del tutto inseriti nel tessuto sociale e lavorativo, hanno deciso di risiedere definitivamente nel Granducato.
Notizie tratte da:
“Tradizioni, società e cultura in Val Pontaiba” Atti del Convegno/ 2 agosto 1998
“Trep e i Teus” a cura di Angela Cortolezzis, Maurizia Plos, Manuela Quaglia
“La Noste Valade” Raccolta e ristampa dei bollettini parrocchiali
Internet
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L’OCCUPAZIONE COSACCA
Durante la seconda Guerra Mondiale, e più precisamente tra l’ottobre 1944 e la fine di aprile del 1945, la Carnia subì una massiccia trasmigrazione e fu invasa da popolazioni cosacco – caucasiche. Questo fenomeno, chiamato comunemente “occupazione cosacca”, fu contraddistinto da una eterogenea presenza di varie etnie: ai cosacchi si unirono truppe e civili caucasici, georgiani, ucraini, polacchi, azerbaigiani, turkmeni. Le nostre terre, che i nazisti avevano chiamato “Kosakenland in Nord Italien”, furono affidate a queste popolazioni in cambio di un’azione repressiva antipartigiana e anche come presidio delle importanti vie di comunicazione che collegavano l’area definita “Litorale Adriatico” con il Terzo Reich. Il comando principale del Litorale Adriatico (ossia il Friuli Venezia Giulia) stava a Trieste, dove il capo della Polizia, Odilo Golbonick, gestiva azioni di contenimento sul territorio. Malgrado i suoi sforzi e la sua provata esperienza in Polonia, Golbonick non riuscì ad evitare che nell’Alto Friuli e nella Carnia si instaurassero due Zone Libere, ad opera dei militanti della Resistenza.
Per quanto riguarda il territorio della Carnia i cosacchi si stabilirono nella zona meridionale mentre i caucasici in quella settentrionale coinvolgendo, oltre al Comune di Treppo Carnico, anche quelli di Paluzza, Ligosullo, Paularo, Arta, Sutrio, Cercivento, Ravascletto, Comeglians, Forni Avoltri e Rigolato. Sembra che, per l’assegnazione dei rispettivi territori, i comandanti della manovra si fossero basati su considerazioni di tipo ambientale: ai cosacchi la zona della conca di Tolmezzo e della Val Tagliamento, ai caucasici, popolazione di montagna, la Carnia più dura, impervia e disagevole.
Nel gennaio 1945 a Treppo Carnico erano presenti 400 caucasici, tra militari e civili e, come si evince dal prospetto generale sulla situazione del foraggio, anche 59 cavalli e 7 mucche; vi erano giunti ai primi di novembre in seguito ad accordi con il Comando tedesco di Paularo. Come risulta dalla relazione del Commissario Prefettizio di Treppo Carnico al Prefetto, datata 8 novembre 1944, il Comando tedesco inizialmente requisì abitazioni sufficienti per 135 persone; ovviamente poi i caucasici, giunti molto più numerosi, invasero anche altre case causando al Comune notevoli spese e problemi per rifornirle dei mobili di arredo indispensabili, comprese le stufe e i relativi camini.
Nel nostro Comune esisteva una struttura sanitaria che serviva tutta la zona dell’Alto Bût, l’ospedale Severo – Kavkazskij Lazaret, in cui venivano assistiti e curati sia civili che militari. L’ospedale, munito di 35 posti letto, constava di un reparto di chirurgia, di uno di medicina e di uno, staccato, per le malattie infettive. Come testimoniano vari documenti dell’archivio comunale e il libro storico della parrocchia, esso era stato sistemato fin dai primi giorni del mese di novembre 1944 presso la sede dell’asilo infantile e della vicina palestra.
Il Comune fu obbligato a procurare, oltre agli spazi, anche la manodopera per adeguare le stanze alle nuove mansioni, le stoviglie per la cucina e un quantitativo giornaliero di latte per i malati che erano ospitati nella casa di cura. Il personale medico e paramedico era costituito da due dottori e quattro infermieri, tutti russi, mentre quello addetto ai servizi, italiano e reperito dal Comune tra la popolazione locale, contava di due uomini, otto ragazze e due suore, alle quali era affidato il coordinamento per la cucina e le pulizie. La testimonianza orale della signora Vittoria Plazzotta, che all’epoca aveva lavorato presso l’ospedale, riferisce che il personale italiano riceveva una paga mensile che ammontava a L 600, cui si aggiungevano il vitto ed alcune sigarette settimanali.
Notizie tratte da:
Pubblicazioni di Marina Di Ronco: “L’occupazione cosacco – caucasica della Carnia” edizioni Aquileia – Tolmezzo 1984; “Almanacco culturale della Carnia” CUCC 1986.