Il castello di Duron

Nei secoli passati la famiglia di Moret (De Cillia) era una delle casate più facoltose del nostro paese; possedeva molte proprietà e immobili tra cui la casa signorile di Siaio. In poco tempo la famiglia era passata da una condizione di vita umile ad un’altra, completamente opposta, di agiatezza e benessere tipica dei ricchi proprietari terrieri. E questa leggenda vuole fornirci una spiegazione in merito.
A cavallo delle due valli d’Incarojo e Pontaiba, tra la sella di Lius e la forcella di Duron, sulla cima del colle sorgeva un bel castello, abbastanza grande, che godeva di una posizione strategica importante. Sul versante di Treppo era circondato da incantevoli prati e boschi secolari, mentre verso Paularo si affacciava su dirupi e precipizi inespugnabili. La fortezza svolgeva un importante ruolo di salvaguardia su entrambe le vallate e per questo motivo era una postazione militare ambita da molti condottieri.
Un giorno il castello di Duron era assediato da un potente esercito e le sorti della battaglia sembravano ormai decise. Del denso fumo nero si alzava dai merli delle torri: i nemici erano riusciti ad appiccare il fuoco e il maniero stava completamente bruciando.

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Il cuoco del castello, compresa la gravità della situazione, decise di nascondere i “cops” (mestoli), i “cjaldîrs” (contenitori per l’acqua) e altri oggetti d’oro massiccio sotto le lastre del pavimento della cucina, con l’intenzione di ritornare in seguito a recuperare la preziosa refurtiva. Fuggendo, però, fu colpito alla testa e travolto da un grosso masso staccatosi dalle pareti che crollavano. Fu così che morì, senza che nessuno fosse a conoscenza del suo piano disonesto.

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Dopo molti anni l’anima in pena del ladro apparve in sogno ad un contadino di Siaio. Nella visione il cuoco gli indicava con accuratezza il luogo del nascondiglio del bottino spiegandogli tutti i particolari per venire in possesso del tesoro. Gli raccomandava soprattutto di non spaventarsi e di non voltarsi, qualunque cosa fosse successa!
Così, in una notte di luna piena, l’uomo armato di pala e piccone raggiunse il cocuzzolo del colle, cominciò a scavare tra i calcinacci e le rovine ed effettivamente trovò il tesoro proprio come gli aveva predetto il cuoco in sogno. Il contadino era accecato alla vista di tutti quegli oggetti che luccicavano e scintillavano al chiarore della luna. Il tesoro era lì a portata di mano, ma all’improvviso un rospo mostruoso dalla lingua di fuoco apparve dal nulla e i ruderi del castello cominciano a risuonare di urla e grida tremende.

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Il pover uomo, che era un sempliciotto, subito si spaventò e invece di arraffare tutto quel ben di Dio, cercando di svignarsela in fretta e furia, riuscì ad agguantare solamente un mestolo d’oro che infilò sotto il braccio. Dandosi alla fuga cominciò a correre a perdifiato per allontanarsi da quel luogo maledetto, inseguito da grida indiavolate, sospiri e rumori sinistri e terrificanti. Gli sembrava di avere alle calcagna creature spaventose e demoniache! Era ormai arrivato nel prato di Moret quando, dimenticandosi dei consigli del cuoco, gli venne la malaugurata idea di girarsi per controllare a che distanza aveva quelle creature. Come d’incanto……tutto intorno fu silenzio e quiete: il mestolo però si trasformò immediatamente in un tizzone ardente e l’uomo per non ustionarsi lo scaraventò vicino a dei cespugli. Il poveretto corse a casa, chiuse a doppia mandata il portone, si gettò sul letto e vi rimase per molti giorni in preda ad una febbre altissima, causata sicuramente dallo spavento.

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Molto tempo dopo i contadini di Moret, andando a lavorare nel prato, trovarono tra l’erba il mestolo d’oro e vendendolo ne ricavarono un’enorme fortuna che cambiò le sorti dell’intera famiglia.
Oggi tutte le proprietà di Moret non appartengono a treppolani e per capirne il motivo bisogna risalire all’anno 1887 quando un certo Luigi, uomo colto ed erudito, morì celibe all’età di 87 anni, senza lasciare eredi.

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Il fratello di lui, Giuseppe, si era risposato in seconde nozze e in età molto avanzata con la giovanissima domestica e da lei aveva avuto un figlio: Roberto (1870 – 1963). Ma lo zio Luigi, dubitando di tale effettiva paternità, lasciò tutto il patrimonio alla figlia della sorella Maria Anna: tale Giuditta sposata Piccini a Pozzo di Codroipo nel 1863. E così, da quel momento, i successivi proprietari dei beni di Moret arrivarono dal Friuli. E quelli di Treppo? Oggi i De Cillia di Moret rimasti in paese sono i discendenti del diseredato Roberto e della moglie Anna Englaro (Pulgine) dal cui matrimonio nacquero sei figli.

Anche questa leggenda ha dato vita ad un murales realizzato dai bambini delle scuole sul muro sottostante il cortile dell’edificio scolastico. Il progetto, proposto dall’associazione culturale di Treppo Carnico, ha avuto grande successo. Dopo un periodo di preparazione in classe, il lavoro di pittura si è svolto nelle giornate di domenica 12 e 19 ottobre 1997 sotto la valida guida di esperti artisti locali: Manuela Plazzotta, Moreno Plazzotta, Prospero Cimenti e Danilo Baritussio che con pazienza e passione hanno indirizzato i piccoli artisti all’uso di colori e pennelli.

Notizie tratte da:
“Timps e ricuarz” di Elio Craighero – I.R.D.C editore
“La noste valade” bollettino parrocchiale numero 59 dicembre 1997