MARIO MARINI

(Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980)

Nel 1917 Marino Marini si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, frequentando i corsi di pittura di Galileo Chini e quelli di scultura tenuti da Domenico Trentacoste. Nel 1919 si reca per la prima volta a Parigi dove entra in contatto con le nuove tendenze del mondo dell’arte. Tornato in Italia comincia a praticare la pittura e l’incisione, legandosi alla tradizione figurativa di fine ottocento e in particolare all’opera di Medardo Rosso.

In alcuni lavori dei suoi inizi si può notare l’influenza degli artisti del primo Rinascimento, in particolare Piero della Francesca. Presto si distacca da queste influenze, abbracciando la ricerca di forme pure e assolute e già dal 1922 decide di dedicarsi alla scultura e comincia a partecipare ad una serie di esposizioni che decreteranno la sua fama.

Nel ’29 decide di trasferirsi a Milano che considera la città più europea d’Italia. Nello stesso anno inizia a lavorare per la Scuola d’arte ISIA nella Villa Reale di Monza, dove gli viene assegnata la cattedra di scultura che manterrà fino al 1940. Nel 1927 Renato Fondi sulle colonne de “La rassegna grafica” prevede per il giovanissimo scultore un’attività destinata «a tappe luminose e conquiste importanti». Nei primi anni trenta visita ancora Parigi, dove incontra i massimi artisti dell’epoca: Picasso, De Chirico, Kandinskij e molti altri.

Il 1932 è l’anno della sua definitiva consacrazione: espone sia a Milano che a Roma e diviene membro onorario dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Gli anni successivi lo vedono protagonista di diversi viaggi in Italia e all’estero che gli permettono di aumentare la propria fama. In uno di questi viaggi si reca a Bamberga, nella cui Cattedrale rimane affascinato dalla statua equestre di Enrico II. Sembra infatti che da questa statua abbia tratto ispirazione per la sua famosa serie di sculture denominate Cavallo e cavaliere, che simboleggiano l’unione uomo-natura.

Nel 1940 lascia Monza per diventare professore alla facoltà di scultura dell’Accademia di Torino e l’anno successivo diventa titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Peggy Guggenheim acquista un suo Cavaliere, L’angelo della città, e lo installa a Venezia davanti al suo museo, dove si trova tuttora. Gli anni successivi vedono il suo progressivo svincolarsi dalle forme definite e un crescere del suo compiacimento per forme e volumi eleganti e stilizzati. Significativa in questo senso la sua amicizia con lo scultore Henry Moore.

Contemporaneamente cresce la sua notorietà a livello mondiale: espone in tutti i più importanti musei e riceve continui riconoscimenti per tutti gli anni cinquanta, sessanta e settanta. Marino Marini è quindi una delle personalità più note dell’arte contemporanea, per aver saputo conquistare un linguaggio inconfondibile, frutto della meditata rivisitazione del mondo arcaico, condotta in chiave espressionistica. Egli ha saputo operare con sintetica e scabra essenzialità per la conquista di una inedita forma di modernità, espressa non solo nei disegni e nelle pitture, ma soprattutto nelle sue notissime sculture, aventi per tema prevalente il cavallo e il cavaliere. E proprio questo soggetto, reso nei suoi rapporti coordinati di forme e volumi, per un certo periodo diventa un tema drammatico, che conduce a una specie di frattura nel coordinamento stesso fra l’uomo e l’animale, con forti implicazioni di malessere esistenziale. Infatti, nell’opera presente nella Galleria d’Arte Moderna De Cillia intitolata “Cavallo e cavaliere”, (gouache su trama litografica, di cm 70×65, del 1955), “…il cavallo è fermo, il cavaliere non ha problemi di equilibrio, ma manifesta, con questo espressionista, una disperazione interiore, che è insostenibilità della convivenza con un mondo che rigetta la dignità e la nobiltà della civiltà umanistica…”.

Per accedere ad ulteriori dati relativi alla catalogazione dell’opera consultare il sito www.beniculturali.regione.fvg.it.